(Ovvero: la paura dell’inferno e la misericordia di Dio)
Facendo una sintesi, invero un po’ grossolana, delle parole che
scendevano dai pulpiti, su in alto nella penombra delle volte (penso alla
nostra Chiesa vecchia) durante la quaresima, a questo si riduce: ‘Carissimi
cristiani, chi muore in peccato mortale va diritto all’inferno’ e “Carissimi
cristiani, la misericordia di Dio è infinita” per concludere “Il suo perdono,
nella confessione, ci apre le porte del paradiso”
Tutto lì. E bastava per pensarci su fino a Pasqua.
Naturalmente il predicatore non doveva tanto convincere sull’esistenza del
paradiso che, essendo una cosa bellissima, ci fa piacere che esista, ma
sull’inferno doveva calcare la mano o meglio la voce.
L’inferno dà un fastidio tremendo e se potessimo togliercelo dai piedi,
perlomeno con l’aggettivo eterno, (eh, certe bislacche teologie moderne) saremmo
più tranquilli. Ma no che il frate predicatore insisteva: “Per sempre, per
sempre!". C’era chi rincasava con la paura di morire improvvisamente la stessa
notte.
Venivano, dal convento dei francescani di Busto, frati preparati non solo nella
pastorale della parola, ma con facondia oratoria. Avevano voci impostate, il
loro fraseggio saliva e scendeva sulla scala tonale con grande efficacia. Non
erano imbonitori e, se anche talvolta molta retorica grondava dal loro
periodare, erano molto convincenti. Li ho sentiti anch’io in gioventù.
Certamente la predica di quaresima era per antonomasia una prèdiga lònga, cosa
non gradita al parroco don A. Marelli, là dove nel suo Liber Chronicus scrive:
“13 Febbraio 1910 (va da sé che non ero ancora nato) incomincia la Santa
Quaresima. Predica padre Cipriano da Busto Arisizio. Doti:
brevità e chiarezza”. La sottolineatura è del Marelli.
A leggere i numeri delle confessioni e comunioni (sono scrupolosamente certificate
di anno in anno) c’è da stupirsi per la quasi totalità; ma, bisogna dirlo per
obiettività, in parecchi più che il convincimento spingeva anche la
consuetudine e l’immaginetta che attestava l’osservanza del precetto.
Ci fu un anno che, per la defezione di alcuni confessori, il parroco Marelli
(che era uno di quelli tosti) si trovò in seria difficoltà. Ne fu così
dispiaciuto e quasi irritato da indurlo a scrivere: “Mancarono confessori di
Busto Garolfo e di Magnago. Furono presentati ai singoli le opportune
rimostranze. Quello di Magnago si scusò e giustificò; non così quello di Busto
Garolfo “parce sepultis”. Morì un mese dopo”
Comunque andassero le cose la parola di Dio è sempre stata la stessa, fosse
tuonata dall’alto dei pulpiti, come nel passato, o filtrata dai microfoni e
segnata da silenzi meditati come nel presente. Solo le parole che escono dal
cuore vanno al cuore, quelle che escono solo dalla bocca vanno alle orecchie.
Eh si, tutto si riduce anche adesso alla sintesi che ne faceva mia zia orsolina
Maria Luoni (classe 1898) concludendo la preparazione degli uomini, anche in
dialetto, alla Santa Confessione diceva:
“Cerché da fá i brái parché ul Signui al va òr ben, e non páa pagüa du infernu”
Ginetto Grilli tratto da: Canto Novo Sacconago - Febbraio 2010 p. 7