Le epidemie di peste a Busto
Non abbiamo ovviamente notizie storiche dirette su Busto circa le pesti dell'età antica. Su tali pestilenze disponiamo di fonti antiche, sia documentarie che di letteratura, che descrivono anche con precisione il verificarsi di queste epidemie, ma a quei tempi Busto o ancora non esisteva o, tutt'al più, era un piccolo insignificante villaggio nella foresta.
Venendo alle pesti del II millennio, non possiamo non iniziare con la cosiddetta 'peste nera'.
La peste nera, in una miniatura del '300.
L'inizio si data al 1347, quando, proveniente dall'Asia, il morbo colse la colonia genovese di Caffa in Crimea. Le navi Genovesi che fuggirono da quella colonia condussero il morbo sulle coste della Sicilia, a Messina. Così, a partire dal 1348 l’epidemia divenne inarrestabile, si diffuse dapprima in tutta Italia, poi in Francia e in Inghilterra. Nel 1351 tutta l' Europa era sotto il tallone del morbo.
La peste nera, in una dipinto a Clusone, val Seriana
Allora, come anche oggi con la pandemia del Covid-19, i popoli dovettero convivere con l'imperversare della malattia, che flagellò l'Europa per circa un ventennio, facendo strage e causando una forte riduzione della popolazione. Nessun dubbio che anche Busto sia stata colpita dal morbo, posto che nessun luogo ne fu risparmiato.
Curiosità 1: Uno studio condotto da Sharon DeWitte, dell'Università della Carolina del Sud (Usa), ha documentato come la statura media delle donne dopo questa peste si sia significativamente abbassata, sicchè la peste ebbe anche un effetto, probabilmente, sul patrimonio genetico dei sopravvissuti. In alternativa si ipotizza che dopo la peste sia cambiato il regime alimentare, al punto da incidere sulla capacità di crescita delle ossa femminili.
Curiosità 2: Nei primi anni del XXI secolo sono state rinvenute nelle campagne inglesi delle fosse comuni, peraltro molto ben ordinate, nelle quali vennero sepolti i morti di peste.
Si è tentato di eseguire uno studio del genoma del batterio resente nel resti, per verificare se quel bacillo avesse subito una mutazione che lo avesse reso pi aggressivo.
Al momento non pare di poter affermare che quel batterio fosse diverso da quello tuttoggi presente qua e la nel mondo.
Particoolare di scavo di fossa comune nelle campagne Inglesi. Foto tratta da "Focus"
Nuovo grave episodio di peste si verificò a Busto e in tutto il milanese nel 1485. Arrivò a Busto nel mese di agosto.
Secondo alcune fonti, a Milano sarebbero morte 100.000 persone, a Busto 1.100 (secondo il Crespi Castoldi che si basava su scritti poi perduti del rettore di San Giovanni Battista). Durante gli anni di quella peste, nel 1488 i bustesi fecero erigere un tempietto dedicato a San Rocco, patrono degli appestati in contrada 'Zornago' o Sciornago che dir si voglia. Tale tempietto, secondo la descrizione fatta dallo stesso Crespi Castoldi che lo vide prima che venisse abbattuto per ricostruirlo, era una "umilissima struttura".
A proposito di quell'anno, il Crespi Castoldi riporta: "Ad accrescere poi le miserie" portate dalla peste "sopraggiunse l'eccessiva violenza dei venti boreali che devastrono le messi e i grani più minuti. Una fierissima grandinata spogliò e quasi consumò ogni genere di piante; moltissime case furono distrutte dagggli incendi; agli abitanti del borgo e a tutti i soggetti al ducato milanese furono imposti graavissimi ed insopportabili tributi". Insomma, la storia si ripete.
Non si hanno prove che Busto sia stata colta dalla peste che si manifestò nel milanese negli anni 1502/1503
Nuovamente, con il classico incedere cadenzato di circa 50 anni, la peste comparve nel 1524.
Fu portata nel borgo dalle soldataglie di Giovanni dalle Bande Nere che, su ordine di Francesco II Sforza, prese possesso, per breve tempo, della contea di BUsto Arsizio, arrivandovi il 25 aprile 1524, con mille soldati spagnoli, e vi rimase per dieci giorni.
Il primo maggio, uno dei suoi soldati morì di peste. Da li scoppiò l'epidemia. A detta del Crespi Castoldi, i morti forono addirittura 7 mila, ma gli storici moderni ritengono tale numero del tutto inattendibile.
Fra le vittime iillustri, contiamo il poeta e miniaturista Francesco Crespi de Roberti,
Rispettando la cadenza, nel 1576 passò per Busto la cosiddetta 'peste di S. Carlo'.
A questo episodio di epidemia si deve far risalire il tradizionale miracolo della madonna dell'Aiuto che avrebbe fatto cessare di colpo la peste, sollevando la mano.
In seguito, nel 1602 venne realizzata la nuova statua - quella tuttora presente in Santa Maria - raffigurante la Vergine con la mano alzata.
La presenza della peste è indubitabile, in quanto documentata da alcuni lasciti proprio finalizzati ad aiutare i poveri colpiti dalla peste. Non ne parla però il Crespi Castoldi, il che hafatto ritenere che Busto - forse - fu meno colpita rispetto ad altri paesi limitrofi.
Nel 1586-88 a Busto ed in tutta la zona dell'Olona vi fu una terribile epidemia che, tuttavia, non era ascrivibile alla peste.
Si trattò con ogni probabilità di tifo intestinale, come pare argomentarsi da uno studio di un contemporaneo, il dottor Andrea Trevisio di Gallarate.
Egli riporta come le condizioni igienice del borgo fossero pessime a quei tempi e ciò favorì il morbo che, a Busto, colpì duramente, con oltre 800 morti.
Terribile fu infine la peste 'manzoniana' del 1630, molto ben documentata da uno scritto attribuito al canonico Giovanni Battista Lupi, oggi conservato alla biblioteca reale di Copenaghen, secondo cui i morti furon almeno 5.000.
Tale numero viene considerato eccessivo dagli storici moderni, ma la descrizione degli eventi di quel periodo, ben analizzata nel libro "La peste del 1630 a Busto Arsizio" di Umberto Colombo e Franco Bertolli, dovrebbe esser da monito anche in epoca moderna. Perse la vita, fra gli altri, il conte di Busto Arsizio Luigi Marliani.
Ci descrive il Lupi che "L'anno 1630, quasi incredibile a chi non è stato in proprio fatto et a chi non l'ha veduto a occhii: che in quell'anno regnasse tanta quantità de ratti che quasi difficilmente le persone si potevano difendere, nè di giorno nè di notte, che non si poteva salvare cosa alcuna per l gran numero e quantità dei mussi, nè vi era casa dove non regnassero a centenara et di grossezza talmente smisurata che mettevano terrore a vederli in squadrilia, come se fossero stati tanti cagnooletti, et tanto danno facevano da per tutto che non si potrebbe stimare, ma molto più nei panni di lana et di lino. Erano talmente rabbiati di fame, che rosignavano li uschi et le finestre nelle camere et per uscire, come fossero stati tanti cani" .
Fuori di Porta Basilica, vicino al 'terraggio', ossia al terrapieno che fungeva da fortificazione cittadina, venne istituito il lazzaretto, suddiviso fra la zona delle capanne degli infetti ed il cimitero degli appestati. Si tratta della zona retrostante la chiesa di San Gregorio, che fu poi definitivamente adibita a cimitero per l'intera città di Busto fino all'istituzione dell'attuale cimitero posto ben al di fuori dell'allora centro abitato.
Sovrapposizione fra mappa della Busto attuale e quella del 1630, con indicata l'area del cimitero e del lazzaretto. Elaborazione di disegno pubblicato nel libro "La peste del 1630 a Busto Arsizio", citato.
Piace, in questo breve scritto, riportare un passo delle cronache del Lupi.
Egli riporta la predica che egli stesso, che era sacerdote, tenne nella chiesa di Santa Maria a peste ormai finita.
"Non vedi che tre castighi mandati da Dio sopra questo popolo, d'una horrenda carestia, d'una tremenda guerra, et d'una spaventosa pestilenza ... nondimeno questi non son stati bastevoli nè sofficienti di abassare l'orgoglio, nè a comprimere l'insolenza di questa gente indomita et incorrigibile; perchè dove il castigo haveva di giovare per mortificazione, ha servito per maggiore libertà di vivere, et superbia della loro sfrenata natura".
Certo, il Lupi era un po' preconcetto verso i bustocchi che - come confessa - "m'hanno fatto degli sfrisi et usate insolenze ... contro le mie proprietà", perchè, a peste finita, fecero incetta di legname prelevandolo dai boschi di proprietà del medesimo Lupi.
Ma ciò che interessa notare è che "alli 22 de mese di marzo (1630) codesto Borgo fu sospeso dalli signnori del Tribunale di Sanità di Milano dal commercio universale ... " e che tale sospensione si protrasse fino al 7 dicembre 1631 "in giorno di Santo Ambrosio nostro pastore, che fu in domenica".
Parliamo di ben 21 mesi di 'quarantena' totale, nei quali ogni risorsa fu consumata.
Certo, era una altra economia, quella. Ma l'uomo del XXI secolo, in preda al covid-19, sta molto mal sopportando poco pi di un mese mezzo di sospensione. Dovremmo porci qualche domanda.
A Busto non ci hanno provato, ma a Milano, sui registri di morte del 1630, sono state trovate le tracce del batterio che causava la peste (Alberto Mattioli, La stampa, 17 dicembre 2017; Prof. Righetti del Politecnico di Milano sul Journal of Proteomics).
In Europa, ma non a Busto, la peste ricomparve a Londra nel 1665 e a Marsiglia nel 1720, dove una nave siriana infetta finì per causare la morte di metà dei suoi abitanti.
Fu, fortunatamente, l'ultimo episodio pandemico di tale triste morbo.
I dipinti bustesi sulla peste
Dipinto anonimo XVII sec. Museo Arte Sacra San Michele Arc., Busto Arsizio, raffigurante il lazzaretto di Busto. In alto: Il Sacro monte di Varese. Foto di P.U. Ferrario
Dipinto anonimo XVII sec. Museo Arte Sacra San Michele Arc., Busto Arsizio, raffigurante scena nella contrada Savico, o, secondo altri, la contrada Pessina. Foto di P.U. Ferrario
Le due tele principali furono restaurate nel 1980 da Donatella Bianchi di Milano sotto la direzione della Sovrintendenza.
Un primo aspetto da considerare concerne la paternità delle due tele, che paiono realizzate dalla medesima mano.
Secondo le tesi della dott.ssa Castellanza, riportate ance da Paolo Umberto Ferrario, si è individuato come possibile autore delle tele il medesimo canonico Lupi, colui al quale è attribuita la paternità delle cronache della peste.
Tale tesi si fonda sul fatto che le scene ritratte nei due quadri paiono riportare fedelmente episdi menzionati dal Lupi nel noto manoscritto del 1632.
In particolare, « ... et io in particolare teneuo il posto a mezzo Contrata Pissina per contro l'accessio di Ms'Fran.co Lupi mio parente, il quale si era fatto serrare in Casa sotto à chiave et Cadenazzi dal sr Podestà per fare la quarantena ... ». Si è sostenuto che sia improbabile che qualcuno, allora, avesse potuto leggere quel manoscritto per poterlo tradurre in immagini con questa dovizia di particolari.
La tesi è suggestiva ma, a modesto parere di chi scrive, troppo fragile.
Non vi sono anzitutto prove che il Lupi fosse ance un eccellente pittore.
in secondoordine, non si vede perchè debba esser cosi strano chhe qualcuno possa aver letto il manoscritto del Lupi, nell'imminenza, ed aver tratto ispirazione per realizzare le due tele. Magari proprio qualche suo conoscente.
Ad ogni buon conto vale la pena di soffermarsi su diversi particolari del primo quadro.
Riportiamo da: Luigi Maino, La colonna di San Gregorio (1958) pag. 167-168.
Ivi viene descritta l'opera: "Una strada della contrada Pissina. In primo piano il capitano Giò. Battista Ferraro, in piedi, parla col prevosto Armiralio; seduto ad un tavolo il cancelliere della Comunità Francesco Pozzo, detto Bassino, con penna e registro alla mano registra i morti e gli appestati che chiedono cibo. Dietro il Prevosto, il podestà Francesco Bigliotto, o forse il medico Giò Battista Mongilardo. Col volto esangue, esterrefatto, lo guarda il sagrista Bonetto quello che compilava il registro dei morti. A destra appestati seduti in attesa ed un monatto che porta notizie.
In secondo piano, monatti che raccolgono cadaveri giacenti sulla strada, o calati dalle finestre, ammucchiati poi su una barella."
Dipinto anonimo XVII sec. Museo Arte Sacra San Michele Arc., Busto Arsizio, particolare. Il Prevosto, il Podestà, il sacrista, appestati seduti e monatti. Foto di P.U. Ferrario
E ancora notiamo:
- in basso la somministrazione del Viatico agli infermi sulla porta di casa
- a sinistra un moribondo attende per strada qualcuno che lo soccorra
- al centro, sotto la volta di un portone, attorniato dagli abitanti inginocchiati, un sacerdote celebra la messa
Dipinto anonimo XVII sec. Museo Arte Sacra San Michele Arc., Busto Arsizio, particolare. Il Canonico Lupi celebra la messa sotto casa di un parente. Foto di P.U. Ferrario
Si noti in particolare:
- Alla base della colonna il prevosto Armiralio sta confessando
- A sinistra il dispensiere distribuisce i viveri
- In secondo piano le capanne del lazzaretto
- In fondo il mucchio dei morti raccolti in una fossa comune, ancora insepolti
- In alto: il Sacro Monte di Varese, luogo di preghiera e penitenza
Dipinto anonimo XVII sec. Museo Arte Sacra San Michele Arc., Busto Arsizio, particolare. Il Prevosto, la distribuzione dei viveri, le capanne e la fossa comune. Foto di P.U. Ferrario
Ancor più nel dettaglio, possiamo ricavare particolari toccanti.
- Cerchiata di rosso: madre con bimbo in braccio
- Cerchiata di giallo: la capretta usata per allattare i bimbi
- Cerchiata di verde: una madre sembra non voler consegnare il bimbo morto al monatto
Dipinto anonimo XVII sec. Museo Arte Sacra San Michele Arc., Busto Arsizio, particolare. Mamma con bimbo, la capra usata per l'allattamento, la madre e il monatto. Foto di P.U. Ferrario
Da ultimo, riportiamo il dipinto esistente nella cappelletta di Santa Maria Nascente di via D. Crespi.
- A sinistra San Rocco
- A Destra San Sebastiano
- Al Centro la Beata vergine
Dipinto presso la cappelletta di Santa Maria Nascente di via D. Crespi: Santi Rocco e Sebastiano e la vergine. Foto di P.U. Ferrario
In particolare, si noti la scena del lazzaretto con le capanne ove venivano portati gli ammalati.
Dipinto presso cappelletta di S. Maria Nascente di via D. Crespi, particolare: Le capanne del lazzaretto. Foto di P.U. Ferrario
Enrico Candiani, 30 aprile 2020