A stria dáa cuntráa di rati da Büsti

A stria dáa cuntráa di rati da Büsti

L'attuale Via G. B. Bossi era una volta Cuntrà di Ràti.
Case ch'eran «ratere».
Circolavano infatti i topi a frotte e a loro agio, poichè trovavan con facilità la loro pastura.
In assenza di fognatura lo scarico delle acque piovane e delle acque di lavanderia avveniva in pozzi a fondo perdente installati nei cortili, facili gli ingorghi ed ai rigurgiti di poltiglia maleodorante.
I topi avevan di che sguazzare fra il fango e i rifiuti di cucina misti a sterco.

A breve distanza dalla «rateria» si trovava il parco di passeggio e di svago: dove c'è ora Via Antonio Pozzi con i fabbricati delle Associazioni Cattoliche, a quei tempi c'era campagna, e solo una stradella per nulla sistemata, allancata e piena di sassi scaricati alla rinfusa, congiungeva la Via dell'Ospedale (poi via Umberto I, ora via Fratelli d'Italia) con Piazza del Conte (Piazza Vittorio Emanuele II). Veniva chiamata Contrada dietro le case, ed il nome è chiarificatore: oltre quella strada non vi erano più case, almeno non quelle del borgo originario.


La situazione nel 1722 (catasto Teresiano)
Mappa-base del Politecnico di Milano

In questa stradella, nelle ore serali, si muovevano ombre spasimanti dei due sessi, intenti ad ammazzare il chiaro di luna.
Scherzosamente, fino ai primissimi anni del '900, questo sganghero di strada azzoppata e guercia (non c'era illuminazione, infatti) veniva chiamata «Via dei Giardini».
Era insomma il parco di «fantasmi» infoiati e al contempo di topi giubilanti.

In una delle case di Cuntrà di Ràti aveva la sua abitazione una strega, di quelle che fanno il giuoco delle carte ed altri giuochi men puliti, per «disfare» le diavolerie di altre streghe che avevan « malefiziato » le persone.
Le persone malefiziate appartenevano generalmente al sesso femminile: si sa che quello femminile è il sesso debole per definizione, epperò meno resistente alle «malefiziazioni».
In quel tempo la strega era assediata dalle malefiziate che ricorrevano a lei per «disfare il giuoco maligno».
Tanto era pressata dal lavoro da fissare un numero d'ordine alle ressanti.
Giova avvertire che l'orario utile di lavoro era molto ridotto: le ore buone per « strologare » eran quelle che correvano fra le dieci di sera e mezzanotte.

Calate le tenebre, nelle strade pressochè deserte ed abbuiate, due donne infazzolettate di nero, come due penitenti che nascondono il volto agli umani sguardi, camminano a passo lesto scantonando furtive.
Persona che le vedesse direbbe: "vanno in cerca del prete per un moribondo oppure della levatrice per un nascituro; lasciamole in pace senza curiosare, chè starebbe male".
La donna più giovane (la malefiziata) non osa volgere la testa indietro, tuttavia ha il tremore nelle ossa.
Se fosse possibile penetrare lo sguardo oltre il fazzolettone che le copre il volto si potrebbero scorgere sulla fronte delle goccie di sudore, sudor freddo della paura di essere spiata e scoperta, nel qual caso il «giuoco» non potrebbe essere «disfatto».
Supplisce la vecchia (manutengola della strega) con delle sterzate di capo, quasi volesse scacciare delle mosche noiose, a scopo esplorativo.
Accertatasi che nessun'anima viva le pedina, bisbiglia all'orecchio della giovane: «Nissön».
Automaticamente l'andatura si accelera.


La situazione nel 1857
Mappa-base dal Centopagine Bustese

Cuntrà di Ràti: ci siamo, appena due passi ancora ! Il cuore batte in petto alla donna giovane, che trema.
Indugia ad alzare il piede per scavalcare il rialzo dello sportello che immette nel cortile. La vecchia la spinge con una manata, poi rinchiude lo sportello battendo i tre colpi di prescrizione, affinchè la strega sappia chi arriva e prepari il ricevimento con le dovute convenienze.
Venti gradini sgangherati da salire e siamo sulla ringhiera tremolante.

Si apre un uscio a mezzanta e le due donne (la giovane e la vecchia) precipitano da tre gradini nella camera buia, appena solcata da una striscia chiara prodotta da un lumino agonizzante nell'ultima goccia d'olio.
L'aria è appestata dal lezzo dello stoppino insecchito.
La strega si leva lo scialle dalle spalle incurvate un po' dagli anni, un po' dalla posa necessaria. Incomincia a lamentarsi: «A som marangualá e straca. Sentì che tüssa ! S'al fèssi non par riguardu da vü, me cáa Mariana, stasìa a fèu gnì sü nissön»

Il gatto in un angolo fa le fusa e non si disturba per i topi che gli saltellano attorno. Son di casa ormai !
C'è della brace di carbonella nella scaldina dal coperchio forato. La strega alza il coperchio della scaldina e lascia cadere sulla brage una polverina che, abbruciando, diffonde un odore indefinibile, ma serve a far girar la testa a chi non vi è assuefatto.
La giovane donna impallidisce ed ha qualche strappo di vomito. Capito, le fa male l'incenso ! La scaldina vien tolta dalla camera e posta sul corridoio.

« Sciá un gutèn da casciamá. 'L é forti da mandá giù, ma al fa passá sübitu. Giù, giù, eccula ! Un momentèn sul e ul má 'l é giá passá. Eccula, a gha ciapa giá cului a facia. Guaì da chel má chi ! mò a idèm i oltar má».

E la malefiziata incomincia: «Distürbi, dului da stomigu, mà da có, ingussa, a dörmu non, a fó sög da pagüa, a ma par sempu da vessi a dré a muì dum mumentu a chel oltar- Ogna tantu a ma manca ul fiá, a par cha gh'é na man cha ma strangua. Tremendu tremendu. I dutui i disan ch'a gh'ho naguta: nervusu, manìi, ... ma i capissan naguta. A gh'ho pagüa da vessi striá !»
A stria a la ridi: «Ah, ah, ah !! A idèm ! I carti ! Lu disan lui, megn a só naguta. i Hin i carti chi disan tüscossi. U'impurtanti 'l é vess bon da léngiai. Hu imprendü a léngiai dáa mé poa mama granda, na santa dona, esüss par lé. Donca a idèmm.»

Le carte vengono stese a quattro a quattro sul capace grembiule tenuto aperto dalle gambe messe a tringolo.
«Un momentu, a gha sèmm ! A dona - si intende la donna delle carte ! - a la gh'ha na brüta ghigna e dadré ga ria un fanti pegiu anmó. Ma a gh'é un ramèdi. Se dopu ul setti a gha 'egn u assa da... quadar... táa chi ! eccula a sì salva, ma a gha vöi ul so tempu...»
A questo punto mette in atto il secondo esperimento, il controllo: «Piripipiri, piripipò giò, giò, giooò !»
Le catene del focolare oscillano, saltellano e sbattono contro la cappa del camino. Da uno spioncino sbuca una tortorella gentile che, dopo aver svolazzato sul capo delle donne, va a posarsi su di un cuscino.
La malefiziata sviene.
Si provvede con una spruzzata di aceto forte a farla rinvenire.
«Al é non ul casu da stremìssi: i hin dumá i giüghi d'i spiriti. Anzi, a presenza di spiriti l'é a vosta furtüna, cáa a mé dona ! Hi vüstu 'ndughé cha 'l é ndèi a pusi a turtuèla ? in sü ul cussén. Cha la vaga a cá, la tia föa a fudrèta dul cussén, in dué cha la pogia un có stan cha la dörmi, e cha la tia föa tüta a piüma par guardala pulidu. Sa la tröa dentu na ghügia, na stringa, un züfu da caì, un nastrén, cha lu mena via e a ma lu porta chi a megn. 'L é necesai par disfá ul giügu dul malefizi !»

A Stria dàa Cuntrà di Ràti conosceva bene il suo mestiere.
Era molto riservata, sapeva mantenere il segreto e non dava confidenza ad alcuno.
In chiesa teneva la sedia e si appostava misteriosa all'ombra incerta delle pareti del confessionale.
Non si fermava mai per strada a chiaccherare, filava diritto, il volto seminascosto.
Ogni tanto si inoltrava in Cuntrà di Rati qualche vettura padronale. La strega vi saliva frettolosa. La vettura partiva veloce. La gente spalancava gli occhi e rimaneva confusa e pensava: certamente c'è di mezzo qualche stregoneria di grande importanza !
La strega non si confessava mai a Busto. Si sapeva che andava a Verghera, almeno la strega lo lasciava credere. E tutti sanno che Verghera era molto rinomata per i convegni di stregozzi. Questo fatto contribuiva a circondare la strega di prestigio e di soggezione.
Una donna che, inconsaputamente, aveva preso in affitto dei locali nel medesimo cortile della strega, venutane a conoscenza, credette opportuno di chieder consiglio al suo confessore, al quale certamente doveva aver fatto scuola don Abbondio, se così rispose: «Ai strji bögna credighi non, a bòn cöntu 'l è mèi lassài in dul sò bröu. Sa sà mai... Dèghi ul bòn giurnu e sté in sü da vostra...»
Più sopra abbiamo dato un'idea delle sedute della strega. Le malefiziate, prima di uscire dal loro tormento, dovevano far ritorno più volte dalla strega colle mani ingombre: una volta una gallina, un'altra le uova, un'altra il coniglio. La strega non voleva essere pagata, ma si degnava semplicemente di accettare delle offerte, come una «Madonna delle grazie».

Col suggerimento della complice della strega, le malefiziate arrivavano ad offrire orecchini, spille, anelli d'oro. Una manna !

La polizia aveva già avuto sentore d'un qualchecosa di poco pulito e sorvegliava, ma a far scoppiare la bomba concorse una imperdonabile imprudenza della strega.
Si azzardò di indicare, ad una malefiziata, la di lei vecchia matrigna come autrice del malefizio.
Fu il finimondo.
La malefiziata si confidò col marito, il quale se la prese con la matrigna della moglie e voleva «inforcarla » con un tridente.
Ne seguì il sollevamento dei famigliari e l'intervento dei carabinieri.

La conclusione fu che la strega finì in gattabuia a meditare sulle sue «balossate».

Dopo i carabinieri vennero i picconieri: il fabbricato che ospitava la strega venne abbattuto e al suo posto sorsero le scuole comunali Giosuè Carducci, che attualmente ospitano il Liceo-Ginnasio ed il Linguistico.


La situazione ne 1933, dopo l'abbattimento del cortile.
Mappa-base del Politecnico di Milano

Quanto cammino in breve volger di anni !

L'autore di queste righe, nel 1938, concludeva: "Che cosa ne pensa la malefiziata ch'è sempre al mondo, sana, robusta e gioviale, ancorchè vecchiotta, circondata di figli e di nipoti ? A quante panzane si credeva una volta..."

Parziale rielaborazione di Enrico Candiani, traendo spunto da:
Carlo Azzimonti in Pagine Bustocche