Pasqua bustocca

La Pasqua del bustocco, una volta

Come si viveva la Pasqua

I giorni della vigilia pasquale, per i ragazzi, costituivano un fatto interessante. Già il giovedì, nel pomeriggio, si recavano tutti in “trapèl” alla parrocchia, “a vidé a mazzà un Signùi, cunt ul sacrista ch’al gha dèa i scùai al Preòstu”.
Cessata la cerimonia, che rievoca la tragedia del Calvario, correvano a casa, trafelati ed ansimanti, a recare la notizia che il Signore era morto. Le mamme si mettevano subito il fazzolettone nero di lutto e la sera, appena cenato, si recitava il rosario sottovoce, per non turbare il silenzio che incombeva il mondo degli uomini. Il venerdì, il lutto raggungeva la sua massima espressione di afflizione.
Cristo era morto e tutti ne erano colpevoli. Anche le campane rimanevano silenziose. La giornata non bastava a fare il giro di tutte le chiese e chiesuole dove era esposto il crocifisso, per il bacio del perdono: S. Giovanni, S. Maria, S. Michele, S. Croce, “Madona di grazi”, “Madona da prà”, S. Rocco, S. Gregorio e perfino Brüghetu.
Le mamme, che non avevano il tempo di girare per tutte le chiese, chiedevano ai figli informazioni: se nella tal chiesa ci fosse tanta gente, se nella tal altra il crocefisso esposto fosse ancora quello dell’anno precedente o se ne avessero messo uno più grande, se prima di baciare il Signore avessero recitato la dovuta preghiera. I figli rispondevano con grande precisione.
Naturalmente il Venerdì santo era il giorno di digiuno, ma per evitare che i ragazzi rosicchiassero, per troppa fame, gli angoli della tavola, i genitori concedevano loro una zuppa condita “cunt una cügiaàa d’oli” a mezzogiorno e un “tazinén da macu” alla sera.
La mattina del sabato tutti i ragazzi erano nuovamente mobilitati: chi per recarsi al battistero per prendere l’acqua santa, chi per fare attenzione al primo tocco di campana d’alleluja.
Davanti alla porta del battistero, si faceva ressa: tutti cercavano di farsi innanzi, per prendere un posticino favorevole. Talvolta i ragazzi più piccoli venivano sopraffatti dai più grandicelli che cercavano di togliere loro il posto.
Quando finalmente il portone si apriva ed apparivano i sacristi, la folla caricava a ondate, alzando “ramine” e bottiglie. I poveri sacristi erano costretti, ogni tanto, a metter mano alla scopa per far largo e respirare un po. Ottenuta l’acqua santa, i ragazzi correvano a casa a consegnarla ai genitori, i quali rifornivano subito le acquasantiera “da cò al leciu”, tenendo il rimanente per gli usi dell’annata ed i casi di estrema necessità.
L’attesa del primo alleluja incominciava verso le nove del mattino. I ragazzi si aggiravano per i cortili con impazienza chiamandosi a vicenda.
Quando la campana dava il primo squillo di liberazione, si scatenava la corsa per tutte le strade di campagna, per avvertire i contadini “ch’ a gh’éa ndèi in cièl ul Signùi”.
Il lutto era finito e incominciava l’esultanza.

Tratto da: Scampoli di storia Bustocca