Le chiese di Busto Arsizio Santa Maria di Piazza San Giovanni Battista San Michele Arcangelo San Rocco Chiesa vecchia di Sacconago Chiesa nuova di Sacconago Madonna in prato Cappella Canton Santo Santa Maria delle grazie Edicola di San Carlo Madonna in campagna di Sacconago |
Forse pochi sanno che Busto Arsizio, in origine, aveva un fiume che la attraversava. Certo non deve mai esser stato gran cosa, visto che, col tempo, è andato di fatto prosciugandosi. Tutt’oggi esiste anche se è stato incanalato in modo da non arrivare più alle porte di Busto: e’ il fiume Tenore. Lungo quel torrente, nella impenetrabile selva boschiva della pianura padana, in un luogo ove gli storici si son sforzati per comprendere chi, per primo, realizzò un centro abitato, venne eretto, come sempre accadeva, un tempietto pagano, presumibilmente dedicato ad una divinità femminile: che sia stata la dea madre del Liguri o altro, poco importa. Con l’era cristiana, ai templi pagani dedicati alle dee-madri - o comunque alle dee della fertilità - si sovrapposero templi dedicati alla Madre di Gesù, e così avvenne anche a Busto. Sopra quel tempietto – che doveva esser molto caro ai Bustocchi del tempo – venne realizzata una cappella dedicata alla Madonna, denominata “Santa Maria de platea” (catasto Bustese del 1399) e già menzionata nel repertorio delle chiese della diocesi ai primi del 1300 e da Goffredo da Bussero . Secondo quanto testimoniato nel XVII secolo (dal canonico Crespi Castoldi), detta chiesetta medioevale aveva una modesta dimensione, circa cinque metri di lato. Nel XIII-XIV secolo venne ampliata e consacrata nel 1346 da un vescovo suffraganeo di Milano, unitamente agli altari di San Giovanni e San Michele. Le fondazioni di tale chiesa sono emerse durante i restauri del 1939. La Chiesina aveva tre absidi orientate verso ovest. Tale cappella, pur stando nel cuore degli abitanti del Borgo (Il poeta Bossi ricorda che alla Madonna fu attribuita la cessazione dell’assedio al borgo del 1443 ad opera di Francesco Sforza), alla fine del 1400 doveva esser ben mal messa se i Bustocchi decisero di spendere una fortuna, ingaggiando il meglio della “piazza” e realizzando questo capolavoro che oggi vediamo. Proprio ancora il poeta Bossi ricorda – in un carme anteriore al 1517 – che presso la “parvula” chiesetta stava una torre troncata e mancante della parte superiore, “testimonianze di rabbiosa rovina”. L’attuale edificio è stato ricostruito nel 1517 (come emerso incontestabilmente dalla “prima pietra” ritrovata in occasione dei restauri degli anni ’90 del XX secolo) per iniziativa della Scuola dei poveri (un consorzio di laici che assistevano i poveri e gli ammalati). Infatti, in una bolla di Papa Pio V del 1566, si fa riferimento alla chiesa che viene chiamata “Cappella della Scuola dei Poveri”. Fu aperta al culto nel 1522. La lanterna della cupola, tuttavia, venne posta solo nel 1527. L’esecutore fu l’architetto Antonio da Lonate, sulla base di un progetto o comunque di una idea di Donato Bramante. Antonio realizzò le volumetrie geometriche della chiesa con le sue lesene e con le modanature in cotto e pietra. La struttura è composta da due prismi sovrapposti, a base quadrata l’inferiore, a base ottagonale il superiore, il tutto sormontato da una cupola internamente suddivisa a spicchi con le 32 nicchie del tamburo contenenti statue dei santi. Intorno al 1520 intervenne l’architetto Tommaso Rodari, il quale, senza stravolgere l’idea di Antonio da Lonate, aggiunse molti elementi fondamentali atti a rendere elegante il complesso: suoi sono: Sin da subito e fino al 1542 si realizzarono le decorazioni pittoriche, mediante le opere di Giovan Pietro e Raffaele Crespi, di possibile ascendenza bustese, e dei piemontesi Giovan Battista Della Cerva e Gaudenzio Ferrari. Questo santuario di Busto, già riconosciuto “formoso” cioè magnifico nel Cinquecento e “zoiello d’Italia” nel Seicento, è un esempio nobilissimo di arte. Dipinti e affreschi dell’interno Gli affreschi della cupola: “cielo stellato”, opera di scuola pittorica locale databile 1531. In particolare, sarebbero opera di Giovanni Piero e Raffaele Crespi. A Giovanni Battista della Cerva sono tradizionalmente attribuiti, nel presbiterio, l’Annunciazione, e l’Adorazione dei Magi e l’Adorazione dei pastori e nella cuffia d’angolo di destra un Concerto di angeli, opere databili 1542. L’opera pittorica considerata unanimemente di maggior prestigio è il polittico dell’Assunta di Gaudenzio Ferrari (1475-1546) realizzato nel 1541, con figure di Santi e scene della vita di Maria, opera che diede il titolo alla chiesa. Il polittico oggi è collocato sulla parete nord ma fino al 1940 nell’abside. Vi è poi il dipinto di Giovanni Paolo Lomazzo (1538-1600) raffigurante la Madonna col Bambino fra s. Paolo e s. Michele, realizzato nel 1571 (altare di Sinistra), una “ultima cena” realizzata in collaborazione fra G. Ferrari e G.B. della Cerva (altare - cappella a destra del presbiterio). l’Annunciazione, affresco strappato (1664) e Madonna con Bambino forse di Francesco Melzi (primo 500) sulla parete destra; Madonna con Bambino, santi Gervaso, Protaso, Caterina Giustina, quattro monache di Giacomo Raibolini detto il Francia (1554) sulla parete sinistra. Sopra l’altare sinistro, dedicato una volta a santa Caterina, sono visibili tracce di decori vegetali dipinti da Biagio Bellotti. In sagrestia si trovano i dipinti: Madonna adorante il Bambino (Giovanni Bellini?, Antonio de Saliba?, Bernardino Luini?) e san Paolo in lettura ( Geminiano Benzoni). Le statue La statua della Madonna è opera dello scultore Fabrizio de Magistris nel 1602 che, con i suoi allievi, la scolpi contemporaneamente alle altre 32 collocate sui lati dell’ottagono nelle nicchie previste dall’ Arch. Rodari. Sono tutte statue di legno, ma ricoperte o di un leggero strato di gesso (quella della Madonna, decorata poi con colori a tempera e lamine d’oro) o tinteggiate di biacca, sì da apparire di marmo, ritoccate d’oro per alcuni particolari. Sopra l’ingresso laterale si trova l’Annunciazione attribuita a Tommaso Rodari. L’originale è all’interno, mentre sopra al portone oggi si trova una copia. La lampada davanti all’altare maggiore è attribuita ad Annibale Fontana (‘500). Dell’altare destro costruito nel 1912 da Paolo Sozzi si conserva solo il paliotto in bronzo con il bassorilievo del miracolo della Madonna dell’Aiuto. Il tabernacolo dello stesso altare destro e gli angeli oranti dell’altare maggiore sono delle belle opere marmoree cinquecentesche, qui collocate nel 1971. L’altare maggiore ed il leggìo di marmo rosato e verde sono di Eros Pellini (1972). Serie di restauri Per rimediare ai danni delle infiltrazioni d’acqua, si sono operati restauri nel Sei e Settecento, sono poi seguiti interventi più complessi negli anni 1874-86, 1939-43, 1983-85 e, riservati alla ornamentazione pittorica, nel 1988-93. Fondamentali per l’aspetto attuale del Santuario furono i restauri eseguiti e diretti dall’arch. Carlo Maciachini (1818-1899), di Induno Olona, e che durarono dal 1875 al 1877, in una prima fase, e dal 1886 al 1889 in una seconda fase. Nella prima fase si compirono importanti opere di consolidamento strutturale, si rifecero gli intonaci esterni e si restaurarono affreschi e statue. Nella seconda fase, invece, l’estetica generale venne riplasmata in modo significativo. La torre civica venne sopraelevata, al punto da quasi raddoppiarne l’altezza (vedi infra), ed inoltre la chiesa venne isolata mediante demolizione degli edifici comunali che la univano al resto dei fabbricati circostanti. Nel 1934 venne poi eseguita una fondamentale opera ingegneristica. Su studio dell’ing. Danusso venne realizzato un anello interno di cemento armato sul quale poggiano otto archi allacciati a loro volta in alto da un anello minore portante ora l’intero peso della lanterna. Così facendo si è alleggerito di circa 5 tonnellate il carico strutturale della cupola, che soffriva di notevole indebolimento. Vennero rimessi in vista i mattoni della parte bassa del campanile (quella del 1584) Da ultimo, negli anni 1989-1993 sono stati eseguiti eccellenti restauri di tutta la parte pittorica interna. La torre civica e campanaria Il campanile era in origine una torre civica, tanto è vero che tuttoggi, unitamente a parte delle campane, è di proprietà comunale. Doveva essere la residua delle sette torri originarie, posto che l’antico nome della chiesa precedente l’attuale era “Santa Maria delle sette torri” (secondo le cronache dei primi del 1600 del canonico Crespi Castoldi). Si ipotizza che – a difesa del nucleo centrale del villaggio, attorno all’attuale quadrilatero racchiuso da via Solferino e via Cavour – fossero state erette, appunto, sette torri che servissero da avvistamento. L’unica chiesa, pertanto, venne chiamata Santa Maria delle sette torri. Sta di fatto che la torre è crollata il 25 marzo 1578, colpita da un fulmine. Nel 1584, quando l’attuale santuario era ormai da tempo completato, venne ricostruita la nuova torre in mattoni. Nel 1884 si demolirono i fabbricati addensati fra il santuario e la vicina chiesa di sant’Antonio abate, in cui avevano anticamente trovato sede anche la Scuola dei Poveri ed il Comune. Così facendo si isolarono sia il campanile che la chiesa di Sant’Antonio. La torre in mattoni del 1584, piuttosto bassa rispetto alla chiesa, venne pressoché raddoppiata in altezza da Carlo Maciachini nel 1886-88, il quale riprese nella parte alta del campanile i medesimi motivi di cui alla cupola e del lucernario del santuario. L’orologio solare è stato disegnato nel 1942. Enrico Candiani-Angelo Crespi, 17 maggio 2009 Bibliografia: ![]() ![]() ![]() |