Il personale di bordo

Cuoco e comandante
Noi marinai di leva eravamo solo tre, il rimanente erano tutti richiamati o requisiti col peschereccio stesso. Che sapeva un po’ (ma non troppo) leggere e scrivere era solo il comandante e il direttore macchine, il rimanente erano quasi tutti analfabeti.
Citando solamente il nostro cuoco, un giovanottone grande e grosso, sposato, sulla trentina, per il quale io tenevo corrispondenza e gli leggevo le lettere che gli spediva la moglie, e ogni tanto gli leggevo dei falsi spropositi per vedere le sue reazioni. Ma dopo gli dicevo la verità.
Spesse volte noi mangiavamo col piatto in mano perché se lo appoggiavamo sul tavolo si rovesciava all’istante, questo naturalmente solo quando la marea era abbastanza sostenuta.

Ma l’infausto giorno è arrivato anche per il nostro cuoco di Molfetta; un mezzogiorno ci stava preparando la pastasciutta, ma doveva tenere il tegame dell’acqua bollente in mano, perché se l’appoggiava, il rollio e l’ondeggiamento l’avrebbero subito rovesciato; ma è successo che l’appoggiò un attimo per verificare la cottura, uno sbalzo improvviso gli ha scottato tutto il braccio destro fino al gomito. Quel braccio fasciato se l’è portato parecchi giorni.
Il Capitano aveva il compito di trascrivere il giornale di bordo – attività che non amava – questa incombenza l’aveva trasferita molto volentieri al sottoscritto, ed io dovevo assolvere il compito di trascrivere giornalmente su questo registro tutti gli avvenimenti e i percorsi in mare, nonché l’andazzo in generale e le spese di bordo anche per la cosiddetta “gamella” mangereccia.

Gino Candiani


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