La raccolta del granturco a Busto Arsizio

La raccolta del mais (Ul miagón) a Busto Arsizio

Un momento particolarmente importante nella vita di un paese agricolo - quale Busto era nel XIX secolo - era rappresentato dalla raccolta del granoturco "ul miagón". Fortunatamente dopo decenni di scandalosa incuria la nostra (poca) campagna sta tornando ad essere curata e coltivata sicche' e' tornato ad essere facile imbattersi in un bel campo fitto di pannocchie.
Quando in primavera il sole cominciava a scaldare la terra e la pioggia ammorbidiva il duro manto gelato dell'inverno, si passava l'aratro. Ai tempi si usava il cavallo, condotto da un uomo che manovrava contemporaneamente il vomere e le redini. Dietro seguiva un uomo (o, spesso un ragazzo) che, con la "cavagna" sotto il braccio, ad ogni passo lasciava cadere nei solchi una manciata di concime. Da ultimo, non di rado un bambino in età scolare lasciava cadere tre grani di semente accanto al concime. Non meno di tre, per esser certi della germinazione, non più di tre, che sarebbe stato uno spreco.
Cavallo, uomo e ragazzi andavano su e giù per il campo tutta la giornata. Un solco pieno e due solchi vuoti, per lasciare la distanza fra le piante.
Quando il mais spuntava da terra, l'altra coltura pregiata, il frumento, era ormai ben avanzato nella crescita. Bisognava con la zappa eliminare le erbacce che crescevano attorno alle piante ed attendere che la stagione fosse propizia, le piogge abbondanti ma non troppo tempestose e le piante crescevano, in altezza, superando frumento, viti, gelsi.
Finalmente compare la pannocchia, avvolta nel suo involucro verde e col suo baffo biondo. Quando la piante smette di crescere, il contadino ne taglia la "testa" poratando la pianta all'altezza massima della pannocchia, ed usando gli scarti per la mangiatoia delle bestie e poi per il concime.
Quando alfine la pannocchia maturava, la si spogliava dell'involto ormai secco e infine si asportava la pannocchia, frutto del duro lavoro.
A quel punto il campo era una desolata piana con ritte centinaia di canne secche (i scaròn), che venivano rimosse ed usate per il fuoco o per il "letto" delle bestie. Non rari erano i materassi fatti di foglie secche di pianta di mais.
Durante l'inverno poi si sgranavano le pannocchie, magari nella stalla durante le serate familiari
Quando le fabbriche cominciarono a sottrarre forza lavoro ai campi, le fanciulle cercavano di "marcare visita" per evitare il loro compito di sgranatrici e per non aiutare nel duro lavoro della macina del grano. Si cantava:
Pa' Giuanén, ma vègn giù ul sögn
da durmì mén gh’ho da bisögn.
-Ta vègn giù ul sögn ? cáscial igná
che dumàn èm da masná . -
Pa’ Giuanén an podu pü
i mé ögi a sa sèran sü
dumàn matína sül püssé bèl
a gha sóna chell sunèll,
ul sunèll dul stabilimentu:
uéhi, tusán, gní döntu.
Papà Giovanni, mi vien giù il sonno
di dormire io ho bisogno
- Ti vien giu il sonno ? caccialo via
che domani dobbiamo macinare. -
Papà Giovanni, non ne posso più
i miei occhi si chiudono
domani mattina sul più bello
suona quel campanello
quel campanello dello stabilimento:
allora, ragzze, venite dentro !

Liberamente tratto da "Scampoli di storia Bustocca".

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