Giuseppe Bossi (pittore, 1777-1815)
Autoritratto - Pinacoteca di Brera

Giuseppe Bossi
Le origini e la nascita
Visse e operò a Milano, e il suo nome figura nel Famedio del Cimitero Monumentale. Ma Giuseppe Maria Bartolomeo Beniamino Bossi apparteneva ad antica e benestante famiglia di Busto Arsizio, dove nacque intorno alle ore 18 dell’11 agosto 1777 da Francesco Antonio e da Teresa Bellinzaghi, “legittimi consorti abitanti in Busto”, come è scritto nell’atto di battesimo in S. Giovanni del giorno 17 seguente.

La formazione
Le agiate condizioni dei genitori gli permisero di fruire della migliore istruzione, avviando gli studi presso il collegio San Bartolomeo di Merate, retto dalla Congregazione dei Padri Somaschi. Si applicò con passione e profitto distinguendosi nelle materie artistiche e letterarie, in modo particolare nella poesia, tanto che manifestò il desiderio di aderire all’Accademia d’Arcadia di Roma, che gli concesse l'affiliazione il 27 giugno 1792 col nome di Alcindo Edipeo.
Meno brillante risultò nelle discipline fisiche, come la scherma, l'equitazione e la danza, anche a causa della sua notevole statura che non lo rendeva agile.
Mentre frequentava il collegio, la famiglia Bossi si trasferì da Busto a Milano, per stare vicino agli altri due figli maschi che qui avevano intrapreso le attività di avvocato e di commerciante.
In famiglia c’era poi Caterina, la primogenita dei fratelli Bossi.

Ultimati gli studi letterari nel 1795, raggiunse la famiglia a Milano, manifestando al padre la propria vocazione artistica e ottenendo di potersi iscrivere all’Accademia di Brera.
Superati i tirocini iniziali, scelse la scuola di nudo, ma si accorse presto che le nozioni ricevute, apprese velocemente e con profitto, non potevano essergli sufficienti.
Nell'autunno di quello stesso 1795, appena diciottenne, si trasferì a Roma per seguire gli studi di anatomia presso l'ospedale della Consolazione. Risalgono a questo periodo i numerosi disegni a due lapis riproducenti le varie parti del corpo umano.
Nell'Urbe frequentò anche una scuola privata del nudo, ed ebbe la possibilità di conoscere meglio l'arte e la tecnica dei grandi maestri Raffaello e Michelangelo.
Nel suo soggiorno romano ritrovò l'amico milanese Gaetano Cattaneo e strinse amicizie con alcuni giovani artisti, in particolare con il grandissimo scultore Antonio Canova, al quale fu fraternamente legato per tutta la vita.

Alla direzione di Brera
Fece ritorno a Milano nel 1801, dove da subito si fece notare ed apprezzare come giovane pittore emergente, raggiungendo un prestigio tale che, su proposta del Ministro dell’Interno, l'11 aprile di quell'anno fu nominato Segretario dell’Accademia di Belle Arti di Brera.
L'Ateneo fondato nel 1776 attraversava da tempo una fase di decadenza. Bossi si impegnò a fondo nell'opera di riorganizzazione e rinnovamento, e si prodigò per assicurare all'Accademia una degna e sostanziosa pinacoteca. Tra le altre opere, entrò nella raccolta di Brera Lo sposalizio di Maria Vergine di Raffaello.
Alto, affascinante, “di una bellezza all'antica, in stile greco romano”, agiato e colto. Ebbe occasione di incontrare sovrani, principi e principesse, conti e duchesse di varie nazionalità, che sovente gli facevano visita per farsi ritrarre o per acquistare i suoi quadri.
Nonostante le molte frequentazioni femminili, restò celibe, ma per una di queste donne, la Granduchessa cognata dell'imperatore delle Russie, dopo averle fatto per due giorni da guida ai luoghi di Milano, confessò nelle proprie memorie che “la fantasia continua ad occuparsi stranamente di questa donna che non vidi che due giorni, che non vedrò forse più, e ove pure la riveda, sarà impresa di grande incertezza.”


La firma di Giuseppe Bossi


Sul finire del 1801 fu invitato come rappresentante dell'Accademia ai Comizi Nazionali di Lione, quale membro del Collegio dei Dotti della nuova Repubblica Italiana; da lì proseguì per Parigi, che ebbe modo di visitare per la prima volta, dove incontrò l’imperatore Napoleone Bonaparte al quale espose le necessità dell’Accademia milanese, ottenendo importanti sussidi.
La carica di Segretario di Brera fu abbandonata bruscamente il 31 gennaio 1807, dopo che il nuovo Ministro degli Interni, il marchese Arborio di Brême, aveva introdotto la figura del Presidente dell'Accademia, di grado superiore a quella del Segretario. Bossi, nonostante fosse stato proposto per essere lui stesso il primo Presidente, contrariato e amareggiato preferì rassegnare le dimissioni, contro cui nulla valsero i tentativi di dissuasione.

Le opere e la copia del Cenacolo
Giuseppe Bossi tornò ad essere artista a tempo pieno.
Neo classico con gusti romantici, la sua produzione pittorica, sovente eseguita su commissione, comprende numerosi disegni a lapis, schizzi, studi, ritratti e autoritratti.


Alcune stampe relative a disegni di G. Bossi


Tra le composizioni si segnalano la Pace di Costanza, La sepoltura delle ceneri di Temistocle, La riconoscenza, Faone salvato dalla tempesta, Le Marie tornanti dal sepolcro, Edipo a Colono, Giove con le sembianze di Diana seduce Callisto, Danza di amorilli, Nido di Anacreonte, La partenza di Adone, Il tempo sopra la verità, Virtù derisa, L'apoteosi del Bodoni, Trionfo di Bacco e Arianna, Incontro di Edipo cieco con le figlie, Venere e Cupido.
Dai titoli appare evidente la preferenza per l'antichità e per la mitologia.


Incontro di Edipo cieco con le figlie
Biblioteca Civica di Trezzo sull’Adda


Sepoltura delle ceneri di Temistocle
Pinacoteca di Brera


Ma l'opera per cui fu maggiormente conosciuto è la copia del Cenacolo di Leonardo.
Il capolavoro vinciano si trovava in condizioni tali da temerne l’irrimediabile perdita, essendo stati giudicati infruttuosi, se non dannosi, tutti i precedenti tentativi di restauro. Per tale motivo il governo napoleonico decise di fare eseguire una copia su tela, di dimensioni pari all’originale.
Bossi venne ritenuto all'altezza di adempiere tale compito, e il Vicerè Eugène de Beauharnais il 24 aprile 1807 gli affidò l’incarico. La copia sarebbe anche dovuta servire all'artista romano Giacomo Raffaelli per farne una versione a mosaico.
La tela di Bossi e il mosaico di Raffaelli avrebbero dovuto tramandare il ricordo del Cenacolo vinciano alle future generazioni.
Il lavoro presso il refettorio di Santa Maria delle Grazie iniziò ai primi di maggio del 1807, e l'abbozzo su cartone fu pronto prima della fine di novembre.
L'opera definitiva, ad olio su tela, impegnò l'artista nei due anni seguenti, seppure a intermittenza. Il 12 settembre 1809 così annotò nelle sue memorie: “dopo fatiche assidue mi trovo d'aver condotto il Cenacolo quasi a termine”.
La copia bossiana dell'Ultima cena fu esposta a Brera già nel dicembre dello stesso anno, ottenendo molti favorevoli giudizi, ma anche qualche dolorosa critica.

Non fu un'opera fortunata, e purtroppo andò distrutta durante un bombardamento che nel 1943 colpì il Castello Sforzesco, dove era conservata.
Ci restano una fotografia in bianco e nero, una stampa tipografica a colori, il cartone originale (oggi all’Hermitage di San Pietroburgo) e il mosaico del Raffaelli (oggi nella chiesa dei Minoriti a Vienna).
La realizzazione del Cenacolo fu accompagnata da un profondo studio degli scritti e delle opere leonardesche, e delle copie del dipinto fino ad allora eseguite, studio che comportò per Bossi frequenti viaggi e il naturale rallentamento del lavoro di copiatura.
I risultati delle ricerche condotte vennero riportati nel volume Del Cenacolo di Leonardo da Vinci – libri quattro di Giuseppe Bossi pittore, pubblicato dalla Stamperia Reale di Milano nel 1810, nel quale sono riportati i precedenti studi critici (nel libro primo), la descrizione dei personaggi e dei luoghi raffigurati (nel libro secondo), le copie e le imitazioni eseguite da altri artisti (nel libro terzo), le note generali sulla preparazione di Leonardo e sulle modalità di esecuzione dell'opera (nel libro quarto) e alcune tavole di disegni leonardeschi.


La copia del cenacolo vinciano
realizzata da Giuseppe Bossi

La scuola di pittura
Sul finire del 1809 acquistò una bella casa nella Contrada di S. Maria Valle, all’attuale civico 2, indebitandosi per 91.000 lire milanesi.
Così commentò nelle sue memorie: “questi debiti abbastanza grossi per me sono assai opportuni per costringermi a comperare meno libri, stampe, quadri, ecc.”
Bossi destinò alcune stanze a studio e alloggio per l'amico Canova, in previsione dei suoi soggiorni a Milano. Una targa posta sulla facciata ricorda ancora oggi i trascorsi dei due artisti nell'edificio.


Le targhe dedicate a Giuseppe Bossi
nella casa di S. Maria della Valle a Milano


Nella nuova casa Bossi insediò la scuola speciale e gratuita per l'insegnamento dei principi generali dell'arte del disegno e delle grandi teorie della composizione, formalmente istituita con due decreti del Vicerè in data 23 dicembre 1810, con i quali lo stesso Bossi veniva nominato professore “con 4000 franchi di pensione e 2000 di indennizzazione per casa, fuoco, suppellettili, ecc.”
Fu questo il modo con cui il Vicerè, grande estimatore di Bossi, volle mitigargli le delusioni che lo avevano costretto alle dimissioni da Brera, consentendogli di avere una sua scuola in concorrenza con l’Accademia.
Giuseppe Bossi, Cavaliere dell'Ordine della Corona di ferro, si cimentò anche come scrittore, critico d’arte, poeta dialettale (era grande amico di Carlo Porta) e coltivò la passione per le collezioni artistiche (nelle sue raccolte anche il “Cristo morto” di Mantegna) e di libri.

La malattia e la fine
Il periodo trascorso al refettorio di Santa Maria delle Grazie rivelò l'inizio dei problemi di salute dell’artista.
Nelle sue memorie così scrisse il 22 novembre 1807: “stamattina stando nel Refettorio delle Grazie a lavorare mi sono accorto di fare alcuni sputi strisciati di sangue. Spero che siano cagionati da qualche piccola frattura di vaso capillare della gola o della testa, essendo io stato sempre sanissimo di polmoni. Mi ricordo però, che in Roma, allorchè studiai alquanto forzatamente l'anatomia impiegando 10 o 12 ore al giorno, tanto a disegnare che a dissecar cadaveri, mi è avvenuto la stessa cosa senza ulteriore conseguenza.”
Qualche giorno più tardi, nel riferire di avere ultimato l'abbozzo aggiunse “la fatica m'oppresse a segno che ho sovente sputato sangue. Da quel giorno finora sono stato in casa illanguidito, spossato e in perfetto ozio d'ordine dei medici.”
Tra alti e bassi, la malattia riapparve prepotente nell'aprile del 1811. Dopo una persistente febbre, i consulti medici effettuati stabilirono trattarsi di “una reumatica con qualche principio di infiammatorio”. Fu sottoposto a 21 salassi “tutti per lo meno di 14 once”, e fu curato con digitale e tartaro emetico. Cominciò a temere per la propria vita: “in breve io vedeva possibile e vicina la morte.”
A settembre ancora la febbre, “di nuovo il sangue in iscena”, e altri 15 forti salassi di 18 once l'uno.

Come se non bastasse, dovette soffrire anche qualche disgrazia che colpì gli affetti familiari.
Il fratello Luigi, l'avvocato che aveva nominato suo procuratore generale e al quale aveva affidato in gestione una cospicua somma, fu coinvolto in un dissesto finanziario.
Bossi intervenne premurandosi di assicurare alla cognata Annetta e ai tre nipoti la tranquillità economica. Inviò anche dei denari al fratello, in Svizzera, ma questi orgogliosamente non li volle accettare.

La malattia polmonare (la tisi) lo limitò notevolmente sia nella pittura che nell’insegnamento. “Il petto mi duole dal tanto dissanguamento” scrisse il 15 settembre 1813 all’amico Canova.
Gli furono di lieve giovamento alcuni periodi trascorsi a Bellagio, ospite nella dimora del Duca di Lodi, Francesco Melzi d'Eril.
Nell'ultima pagina delle memorie, datata 20 ottobre 1815, scrisse: “la mia salute è meschina più che mai. Emaciato, debolissimo sono ridotto a passare dal letto al sofà, e starmene senza moto per non tossire. Tutte le medicine da me prese mi fanno peggio.”
Morì nella sua casa di Milano alle prime ore del 9 dicembre 1815, a soli 38 anni.
Enorme fu il cordoglio. Il Canova, il Porta e altri amici artisti, nel piangerlo gli dedicarono opere.
Le esequie si svolsero il giorno 11 nella Basilica di S. Giorgio, a pochi metri dall’abitazione, e fu sepolto nel cimitero del Gentilino. Quando questo fu soppresso nel 1910, le sue ossa andarono disperse. Venne collocata una lapide con il suo nome nel Famedio del Cimitero Monumentale.
Busto Arsizio non ha mai smesso di omaggiare la memoria di questo figlio insigne, tanto grande nell'opera, quanto sfortunato nell’umano destino.


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